Nuovo appuntamento con la rubrica Ci provo con... basata sulla lettura di un autore mai letto prima.
Facile partecipare direte! Ebbene sì.
Ed ecco cosa ho scelto questa volta. Che avranno scelto le altre blogger?
Titolo: Il pastore d'Islanda
Autore: Gunnar Gunnarsson
Edizione: Iperborea; 18 dicembre 2020
Pagine 135
⭐⭐⭐⭐
Ho letto questo racconto che ricorda tanto una favola, per un gdl.
E mi è piaciuto intrattenermi per un’oretta, anche senza particolari emozioni o avventure.
Si tratta dell’ultimo viaggio sulle montagne del pastore Benedikt, alla ricerca delle pecore rimaste indietro al rientro dai pascoli per l’inverno.
La parte più bella è la caratterizzazione del protagonista come uomo umile, semplice, taciturno ma di cuore e dedito alla vita nella natura ma che sa apprezzare la compagnia di pochi amici.
Ma mi ha colpita anche la descrizione di una natura impetuosa, maestosa, che incombe e alla cui furia non ci si può sottrarre ma che non punisce se la si rispetta, come risulta chiaro dall’approccio del protagonista e quello degli altri pastori del paese che incontra.
Ed è proprio il rapporto con gli altri pastori che vede come poco rispettosi degli equilibri naturali e chiassosi, che lo contraddistingue come solitario e burbero, ma che aiuta comunque solo per la speranza di salvare le pecore.
Centrale è il rapporto con i suoi animali che sono i veri protagonisti di questa storia.
Il montone Roccia e il cane Leó sono la vera forza della “Santa Trinità”. Roccia è più solitario e affidabile, su cui si può davvero contare. Leó è giocherellone, affettuoso, vivace, tiene sempre su il morale e rinsalda il rapporto tra i tre.
La sensazione che permea l’intero libro è quella di profondo raccoglimento di fronte alla forza generatrice che, oltre che da natura, può essere vista come creatrice. Probabilmente anche per questo elemento, è stato visto il carattere di religiosità del racconto, che però non credo fosse esattamente negli intenti di Gunnarsson, ma solo nel suo sentire.
Una nota malinconica è data dalle ultime pagine in cui troviamo una sorta di passaggio del testimone come conclusione della sua carriera, dall’improvvisamente anziano al giovane Benedikt, che delinea in un certo senso però anche la necessità che ci sia qualcuno che compia la sua stessa impresa negli anni a venire, come a sottolinearne l’importanza del suo ruolo per la salvezza della gente e l’equilibrio delle forze.
La cosa che però non mi ha realmente convinta, che io non ho riscontrato, è l’associazione tra questo racconto e il Natale, a parte per lo scenario nevoso e l’ambientazione. Non ho ritrovato in questa storia le atmosfere natalizie che tutti conosciamo, anche se non è stato qualcosa di cui abbia sentito la mancanza nonostante tutto.