sabato 28 gennaio 2023

Ci provo con… I figli della discordia - Tochi Onyebuchi

E per ultima arriva anche questa rubrica, in cui dobbiamo provare un nuovo autore sconosciuto, mai letto prima.

Per questo mese ho provato a leggere questo libro fornitomi dalla casa editrice Fanucci per la collaborazione in corso, di un autore afroamericano all’esordio con il genere, e devo dire che non mi è andata per niente male!



I figli della discordia - Tochi Onyebuchi

Fanucci, 2021 - 224 pagine

⭐️⭐️⭐️⭐️


Ella e Lev sono due fratelli di Harlem, uniti dal comune destino di essere neri.

E dei neri, in una città in cui il razzismo impera, non hanno vita facile, soprattutto quando sono i poliziotti a fare discriminazioni nei confronti dei gruppi di giovani che si incontrano per strada.

In più Ella ha il dono di vedere il futuro delle persone, in particolare di quelle che muoiono di morte violenta, quindi viene dilaniata dalla sofferenza di tanti suoi amici e conoscenti che vengono uccisi, senza motivo o per motivi futili, dalla polizia, e sente e prova la stessa rabbia della popolazione americana di colore che manifesta per ribellarsi contro questa violenza ingiustificata. E questa rabbia diventa il suo bagaglio personale di vita, che la spinge ad allontanarsi dalla città e dalla madre e il fratello per studiare la sua Cosa e imparare a usarla.

Questo però influisce su Kev che, sentendosi abbandonato e senza la protezione della sorella a tenerlo lontano dalle bande, finisce ben presto in prigione.

Quando ne uscirà troverà un mondo profondamente diverso, in cui i poliziotti vengono Potenziati con placche di metallo e protesi impiantate sotto pelle che servono a renderli inattaccabili, e agli stranieri vengono proposte delle alternative di vite del tutto controllate, in cui resta poco spazio per le scelte personali, con chip che servono a renderli mansueti e innocui.


Questo distopico un po’ fuori dagli schemi mi ha colpita tanto perché unisce il tema del futuro dai tratti profondamente negativi a quello delle discriminazioni e del razzismo sollevato dai gruppi del movimento Black lives matter dopo l’uccisione di Rodney King (che tra l’altro compare in una scena del libro), che ha fatto venire alla luce un problema di discriminazione da sempre strisciante negli USA, che è stato esacerbato durante il governo Trump.

L’autore, nero americano a sua volta, mostra di conoscere molto bene il problema, e ne propone una visione in cui i bianchi abbiano trovato un modo futuristico e cibernetico per sopraffarli ed averne il totale controllo, ingabbiando le differenze in un comportamento uniforme.

Unica pecca che trovo è la sensazione di sospeso, di non concluso, provata alla fine del libro. Questo però potrebbe anche voler indicare che ci sarà un seguito per la storia di questi due ragazzi e di Jamila, cosa in cui confido.


“Non vuole ridurre in polvere questo intero complesso, (…)

Vorrebbe invece potersi teletrasportare indietro nel tempo, tendere la mano e metterla sul petto di Kev la notte di quel tentativo di rapina a mano armata. O andare ancora più indietro e stare più vicino a Kev per più tempo per tenerlo in quella bolla di protezione così i poliziotti l’avrebbero lasciato in pace più spesso. O andare ancora più indietro e impedirgli di diventare amico di Freddie che un giorno è stato preso dai poliziotti per averne guardato uno troppo a lungo e nel cellulare della polizia sulla strada per la centrale gli hanno spezzato la spina dorsale. Perché forse se Kev non l’avesse conosciuto come amico, come un fratello quasi, in assenza di Ella mentre Ella andava a scoprire i suoi poteri dove non avrebbe fatto male a nessuno, forse Kev non sarebbe qui. O forse andare ancora più indietro e spingere mamma a portare la famiglia in un altro posto dove la terra non avrebbe bruciato sotto di loro e preso fuoco, dove avrebbero potuto fermarsi e dove la gente bianca sarebbe stata magari appena un po’ meno assetata del loro sangue.”


Tu leggi? Io scelgo… La canzone di Achille - Madeline Miller

Ecco che ripartiamo nel nuovo anno anche con questa rubrica che amo tanto, perché mi permette di aprirmi a letture che, probabilmente, diversamente non avrei fatto, dovendo scegliere ogni volta da una blogger diversa e non sempre in linea con i gusti personali.

Stavolta ho avuto la fortuna di dover scegliere da Francesca del blog Punto di lettura, da cui finora ho scelto letture che poi mi sono sempre piaciute tanto.

Stavolta ho scelto La canzone di Achille, libro che mi aspettava davvero da tantissimo ma che non avevo mai il coraggio di iniziare.

La sua recensione che trovate qui https://puntodilettura.blogspot.com/2022/04/recensione-11110-la-canzone-di-achille.html?m=1 mi ha spronata a decidermi e mai decisione si è rivelata migliore!

Ma ora ve ne parlo:



La canzone di Achille - Madeline Miller

Marsilio, 2019, 384 pagine

⭐️⭐️⭐️⭐️⭐️


“Cantami, o diva, del pelide Achille, l’ira funesta…”


Quante volte queste parole vengono odiate da studenti nelle scuole superiori di tutta Italia…

E poi invece c’ero io che su queste parole e su tutti i racconti e le vicende narrate nell’ora di epica, sognavo.

Ho preso questo libro incuriosita quando uscito, ma poi ho avuto sempre un po’ il timore di leggerlo, nonostante i pareri positivi che riceveva; lo temevo perché avrebbe potuto distruggermi tutti quei sogni fatti nelle lente ore in classe.

Ma poi è capitata l’occasione per la rubrica “Tu leggi? Io scelgo…” a cui partecipo, ed ho pensato che fosse un segno, che fosse finalmente arrivato il momento.

E adesso, mentre chiudo il libro con le lacrime agli occhi, penso che mai scelta avrebbe potuto essere più azzeccata, che forse ci sia stata la mano degli dei in questa scelta.


Da ragazzina, provavo sempre un sottile odio per le figure di questi dei irosi, vendicativi, sempre in lotta tra di loro e che usavano i semplici mortali come strumenti per prevalere uno sull’altro. Poi da adulta ho compreso come, quelle personificazioni non fossero altro che le immagini più immediate e lampanti delle lordure e delle brutture dell’animo umano, e rappresentino le dinamiche della nostra società.

Così si fanno prendere dall’invidia, dalla lussuria, dall’accidia, dalla brama di potere.


Ed è proprio la sete di gloria e di una fama immortale che ingabbia e condanna Achille, che lo rinchiude in una prigione che lo conduce al tormento perenne, all’autodistruzione, alla perdita del suo amore più grande, il migliore dei mirmidoni, a cui era finito per anteporre il proprio onore, in cui si è rinchiuso da solo, grazie alla continua insistenza della madre, la ninfa Teti, e da cui uscire, seppur con la morte, diventa la liberazione tanto agognata.


È straziante il momento in cui Achille stringe il corpo dell’amato Patroclo ormai defunto; è il momento in cui torna in sè e si maledice per averlo lasciato andare incontro alla morte.


È ironico come non sia il destino predetto dalle Moire a avanzare verso di noi, inesorabile, ma noi a farlo procedere nella direzione predetta, con tutte le nostre singole azioni. 


Ma questa è la storia della guerra di Troia, che dura anni, con enorme spargimento di sangue e morti, e inganni e ripicche, quella che tutti noi conosciamo.

Madeline Miller però fa molto di più: scrive la storia dal punto di vista di Patroclo, l’esiliato senza patronimico, e dell’ amore per la vita del figlio di Peleo di Ftia. Racconta della loro vita, di come crescono e si formano, di come si conoscono e di come nasce e si sviluppa il loro amore. Si tratta di due semplici ragazzi, due giovani che desidererebbero soltanto vivere una vita normale, che riescono a godere di un vero periodo di felicità solo durante il periodo di addestramento di Chirone, lontano da tutto e tutti, e che vengono perseguitati da giochi di potere più grandi di loro, da quella guerra che sarà la loro sfortuna e dalle profezie che indicano la loro fine.

Due ragazzi che vorrebbero solo potersi amare, poter vivere la loro giovinezza liberi nei boschi e a contatto con la natura, studiando la musica, uno, e la medicina, l’altro. Sono: delicato, gentile e rispettoso, Patroclo, vivace, brillante e audace, Achille.

Arrivano dritti al cuore, vi prendono posto e non lo lasciano più.


“Smisi di cercare lo scherno, il pungiglione dello scorpione nascosto tra le parole di lui. Diceva ciò che pensava e restava stupito quando gli altri non facevano lo stesso. Qualcuno avrebbe potuto scambiare quel tratto per ingenuità. Ma non è una caratteristica del genio andare sempre dritto al cuore?”


Nessuno comprende la loro unione, proprio per la loro diversità e per la stirpe, che tanto influisce sulle opinioni degli uomini e segna il destino dei due ragazzi, chiunque incontrino, nonostante i loro sentimenti e nonostante come si comportino.

Si porteranno dietro fino alla fine il fatto di essere un semidio Achille, e l’altro un semplice mortale, apparentemente incapace e fragile.

Ma Patroclo sarà l’unico davvero libero di scegliere e che deciderà di sacrificare la propria vita per amore, e soprattutto in nome della pace, per fermare gli inutili spargimenti di sangue di quella guerra che i due non avrebbero nemmeno voluto.

Le persone che incontra vengono tutte segnate dalla sensibilità di Patroclo, dalla sua gentilezza, dalla sua cura, da Briseide ai compagni di campo che vengono da lui curati.

Perfino il geniale Odisseo si batte per fargli avere degna sepoltura. E sempre lui, riesce a infrangere anche la fredda corazza di Teti e farsi concedere il riconoscimento meritato, anche se solo dopo morto.


Achille si fa schiacciare dalle pressioni di tutti quelli che lo circondano, del padre Peleo che lo vuole all’altezza di un principe, della madre che lo vuole degno di un dio, dei re che lo vogliono in guerra, “maschio” e pronto a dare la propria vita per la gloria e per vincere Troia. 

Finisce per dimostrarsi il più fragile dei due, quello che cede ai desideri di fama e alla difesa del proprio orgoglio, perdendo di vista ciò che veramente conta: i propri sentimenti. Ed è qualcosa di cui è destinato a pentirsi amaramente, punito con un dolore infinitamente grande e sproporzionato.


La conclusione però ci fa riappacificare con la vita, ci permette di ricordarci che, nonostante tutte le ingiustizie ribadite qui, il solo vero cattivo (Pirro) trova la sua nemesi, Achille torna in sè ed è capace di nuovo di un gesto di compassione, e Patroclo riesce ad essere più vivo che mai e più umano che mai, e portare la parte di sè più importante e che riesce a squarciare il velo dell’indifferenza: i ricordi di cui ha pieno il cuore.


“Forse, tra gli dei certe cose passano per virtù. Ma che gloria c’è nel togliere una vita? Moriamo così facilmente. Vuoi che diventi un altro Pirro? Lascia che ciò che si racconta di lui sia qualcosa di più.”


giovedì 26 gennaio 2023

Questa volta leggo… L’isola degli alberi scomparsi - Elif Shafak

Ed ecco che riprendiamo nel nuovo anno con questa rubrica per cui scegliamo ogni mese un tema diverso a cui informare le nostre letture.

Questo mese, in linea con le festività natalizie ormai concluse, il tema è stato CIBO.

La lettura che ho scelto è stata L’isola degli alberi scomparsi, di Elif Shafak, lettrice turca che però in questo caso ambienta la narrazione a Cipro.

Cominciamo col botto!!!



L’isola degli alberi scomparsi - Elif Shafak

368 pagine

2021

⭐️⭐️⭐️⭐️⭐️


Londra 2010. Kostas e Ada sono un padre e una figlia di origine cipriota ma che vivono a Londra, che vanno avanti nelle loro esistenze con un po’ di fatica, fino all’episodio in cui la ragazza a scuola comincia ad urlare senza apparente motivo e non riesce a smettere.

Il padre lo conosciamo che sta andando a seppellire una pianta di fichi, per proteggerla.


Cipro, 1974. Kostas e Defne sono due giovani innamorati destinati a subire la terribile maledizione di essere nati uno da una famiglia greca e l’altra da una turca e di trovarsi sull’isola proprio quando scoppia la guerra civile, immediatamente tenuta a freno dalle truppe inglesi sbarcate sull’isola, che però a lungo andare nulla possono contro la furia cieca e sfrenata tra fratelli dai due lati dell’isola.


Londra, anni 2000. Kostas e Defne sbarcano in Inghilterra, e aspettano un bambino.


La narrazione si sviluppa su questi due piani narrativi distinti e, da un certo punto in poi, su un terzo.


I capitoli che riguardano i tre periodi sono inframmezzati da quelli in cui a narrare e raccontarsi è la pianta di fico, quella che il padre sta andando a seppellire e che ha accompagnato i protagonisti dall’inizio fino al presente, assistendo a tutta l’evoluzione del loro rapporto.

Ma non sono solo questo. I capitoli della pianta sono quelli che riescono a dare una visione d’insieme degli eventi, un punto di vista esterno, in parte disinteressato, e molto più elevato rispetto a quello degli esseri umani. 


“Quel che vi racconto, dunque, è senza dubbio filtrato dal prisma delle mie opinioni: non esiste narratore completamente obiettivo. Ma ho sempre cercato di vedere ogni storia da diverse angolazioni, in prospettive mutevoli, per trame contrastanti.

La verità è un rizoma, uno stelo sotterraneo che germoglia di lato. Per raggiungerla bisogna scavare parecchio e, una volta scoperta, va trattata con rispetto.”


“Però importa a me. E quindi, finché sarò in grado di raccontarla, includerò in questa storia anche le creature del mio ecosistema: gli uccelli, i pipistrelli, le api, le formiche, le zanzare e i topolini. Perché se c’è una cosa che ho imparato è questa: ovunque ci sia guerra e dolorosa spartizione, non ci sono vincitori. Nè umani, nè d’altro genere.”


L’isola degli alberi scomparsi è Cipro, isola piena di sole, dalla vegetazione rigogliosa e dalle mille specie animali, dai frutti succosi e dai cibi invitanti, dei campi di lavanda e dei cespugli di ginestra pieni di fiori e di insetti rumorosi. E di alberi secolari di fichi, come quello che cresce proprio al centro della taverna di Giorgos e Yusuf, due amanti che, oltre ad essere un turco e un greco, hanno la sventura di essere anche una coppia gay, che forse è ancora peggio per i tempi, sull’isola.

Quella stessa isola che, dopo la guerra ritroviamo devastata, arida e spoglia della vegetazione che la contraddistingueva, ma piena di cadaveri seppelliti in fosse comuni, ormai diventati ossa, che il gruppo di archeologi di Defne, ormai adulta, ricerca per dargli degna sepoltura e, soprattutto, per dare alle famiglie un cadavere su cui piangere.


“Le vittime avrebbero continuato a vivere nei modi più sorprendenti, perché è questo che la natura fa alla morte: trasforma finali improvvisi in mille nuovi inizi.”


La pianta di fico è la stessa pianta che viveva sull’isola, nella taverna, tanti anni prima, la pianta con cui Ada ha stabilito un legame, di cui le sembra di percepire le emozioni. Ed è il pretesto tramite cui la ragazza riesce finalmente, anche grazie alla zia Meryem che conosce solo adesso e che vede per la prima volta a Londra dalla sua nascita, a conoscere le proprie origini ricostruendo il proprio passato e scoprendosi indissolubilmente legata a quell’amore tormentato, a quelle famiglie ferite, a quel trauma che ha ereditato. E la mancanza di senso di appartenenza che prova, insieme alla rabbia per il senso di mancanza dovuto alla morte inaspettata della madre, dà vita a quel bisogno di urlare che diventa virale scatenando in tutto il mondo il fenomeno del #misentiadesso.


Al centro della storia stanno le tradizioni, le usanze e le credenze di Nicosia, come quella della medium e dell’ esorcista, e il cibo, a partire dai fichi maturi e dalla polpa fragrante che produce la pianta, che restano a marcire quando non c’è più nessuno rimasto a raccoglierli, alle prelibate pietanze che Meryem insegna a preparare alla giovane, che fanno da collante tra il vecchio e il nuovo, che creano un ponte tra quel passato che non può più tornare ma che costituisce le radici che, sole, possono rinsaldare e dare stabilità al nuovo fusto che sta costruendosi, crescendo.


“Non appena fuori, la brezza gli portò un profumo ormai dimenticato. Gelsomino, pino, pietre cotte dal sole, un odore che pensava di aver seppellito chissà dove nel labirinto della memoria. La mente umana è un posto stranissimo, patria ed esilio al tempo stesso. Come faceva a trattenere qualcosa di sfuggente e intangibile come un profumo quando era in grado di demolire pezzi interi del passato, mattone per mattone.”


I sentimenti e le emozioni sono tutto in questa famiglia spezzata, in ogni singolo protagonista, ferito dal passato ma con buona volontà e tante speranze per la nuova vita che stanno iniziando.

Sono quello che segna ogni abitante dell’isola, con una ferita ancora sanguinante da ricucire, con le atrocità che solo l’essere umano è capace di commettere, laddove basterebbe imparare un po’ dagli animali e dalle piante, per rispettarli ma anche per rispettarci.


“Forse in un mondo vincolato da regole e cavilli piuttosto insensati e che di solito privilegiavano i pochi sui tanti, la follia era l’unica vera libertà.”


“Immaginati Adacim, un soldatino biondo, slavato, mai stato al sole, che arriva dall’altro capo del mondo e ti si piazza lì, solo per evitare che tu ammazzi il tuo vecchio vicino di casa o che lui ammazzi te. Non ti sembra una cosa tristissima? Perché non possiamo vivere in pace, tutti quanti, senza soldati e mitragliatrici?”