mercoledì 13 ottobre 2021

Le confidenze di ... Simone, autore diechirico

  

Oggi vi proponiamo un'intervista ad un autore sui generis...

Non troverete nemmeno la sua foto. Perchè? Perchè preferisce perdersi tra le pagine dei suoi libri e scomparire, senza che pensiate a lui mentre leggete ma solo alle sue storie.

Ma saprà spiegarsi meglio lui sicuramente!



*Ciao Diego!

Prima di iniziare la nostra mini intervista ci fai una breve presentazione di te? Una sorta di biografia per intenderci.*


Per quanto riguada la biografia preferirei essere identificato solo come diechirico. Ci sono già così tante informazioni su di me in rete, che non serve aggiungerne altre. Chi vuole, cercherà.

E se non troverà, ce ne faremo una ragione.

Anche la foto non serve, non aggiungerebbe nulla di più a ciò che voglio comunicare. Se qualcuno vuole vedere la mia faccia, può trovarla facilmente.

Sono convinto, io, che il nome dell’autore (così come il suo aspetto) non serva e che sia assolutamente irrilevante. Io preferisco essere il ghost writer di me stesso. Non voglio correre il rischio che il mio narcisismo possa prevaricare il contenuto e impedire al lettore di abbandonarsi alle emozioni perché condizionato dal fatto che ho vissuto la vita di Indiana Jones o quella di Pippi Calzelunghe.

Sono convinto, io, che se fossi una donna, piuttosto che un uomo, nulla cambierebbe per quello che ho in mente. Così come se fossi un operaio o uno scienziato, bianco o nero, alto o basso. Così come se avessi trent’anni, cinquanta, o settanta.

Per farla breve.

Cosa importa di me? Altri uccelli voleranno oltre. 

Questa frase - che è una citazione di Nietzsche, detto Fritz - potrai veramente apprezzarla quando leggerai L’effetto farfalla.

Io vorrei essere parte di una coscienza collettiva, socialista. Non essere semplicemente un individuo. Vorrei che il mio progetto coinvolgesse una comunità intera (anche minuscola) in cui ognuno possa sentirsi una parte uguale e un tutto. E questo io vorrei farlo semplicemente con la parola. Con nessun altro strumento.

Ovviamente c’è da tenere in conto che non sono uno scrittore, io.

Né ho fatto corsi per diventarlo.

Se ti raccontassi come ho scritto veramente i libri ti metteresti, giustamente, a ridere.

Sono un fisico, in ogni caso, e nella vita mi occupo di spettroscopia.

Ma questo, come naturale, non sposta nulla: non sarebbe bello innamorarsi di un libro (follemente intendo) e non sapere chi l’ha scritto?

Non sarebbe bello pensare che è stato scritto da mille menti, attingendo dalla vita di ognuno?

Insomma.

Siamo realisti.

Esigiamo l’impossibile.


*Una risposta molto interessante, prevedo un'intervista fuori dagli schemi. Veniamo a noi allora!

Le mie prime curiosità ovviamente riguardano il libro.

Mi piacerebbe sapere in primis da cosa è nata questa storia.*


Non c’è un cosa, credo. Quello che posso dire è che ad un certo punto della mia vita, giunta all’ennesimo cambiamento radicale, ho iniziato ad immaginarmi un universo parallelo, in cui potevo dar voce a persone che esistevano solo nella mia testa e per le quali, nella mia testa, io potevo costruire una precisa personalità e caratteristiche distintive e peculiari. Ciò che mi girava attorno in quel periodo ha così preso forma, parte della mia vita è diventata una città, un’altra ancora un personaggio, un’altra una semplice emozione. Ho messo tutto insieme e ne sono venuti fuori dei frammenti e i frammenti sono divenuti un libro, scritto con quella linea temporale oscillante. Il primo libro (Aspettami sotto la pioggia) è stato scritto quasi unicamente durante i miei frequentissimi spostamenti aerei, sullo schermo del telefono. È venuto fuori quasi da sé, è come se io gli avessi semplicemente dato una forma. Poi, dopo qualche mese, ho iniziato a pensare ad altro, a dare compimento a quello che ancora avevo in mente. E, obiettivamente, ho ceduto alle lusinghe che mi arrivavano dai miei primi lettori, selezionatissimi, che mi chiedevano di leggere ancora. Così, ho fatto qualcosa di più. Ho scritto i due libri successivi in parallelo (Basta così, ti prego e Il sapore degli aghi), spesso confondendomi con le storie, perdendo capitoli, cercando una pausa. Alla fine, tempo pochi mesi, anche il numero due e il numero tre, hanno visto così la luce.

Poi ancora scossoni nella mia vita, alcuni estremamente intensi. Così è nato il quarto libro (L’estate di San Martino) e poi il quinto (L’effetto farfalla, un mattone nel vero senso della parola), mentre avevo già in testa una storia complicatissima da scrivere e che mi ronzava in testa non dandomi pace. Alla fine, lo scorso anno, ha preso anche lui vita e forma (L’uomo coi tagli). Infine, quello che sto scrivendo ora.

Io cerco disperatamente di smettere, devo essere onesto. La scrittura mi travolge, mi consuma, cattura tutta la mia attenzione. Nei periodi in cui scrivo, penso ossessivamente a cosa possa fare un personaggio o come possa rendere credibile una certa situazione. Questo mi impegna tantissimo, col risultato che non riesco più a leggere. Sono completamente totalizzato. Così, a periodi, mi obbligo a non scrivere, a non dare forma a nulla. Poi ci ricasco, puntualmente, in un eterno ritorno dell’uguale.


*Trovo che il titolo sia molto particolare, e suppongo che abbia un significato ben preciso che a me personalmente è sfuggito. Ti va di parlarcene?*


Il contenuto del titolo (Come piangere sott’acqua) di per sé ha il significato che mostra (e che implica l’impotenza dei momenti disperati). Una frase che ho scritto quand’ero ragazzo e che avrei prima o dopo voluto utilizzare. 

In quel momento preciso della storia mi serviva qualcosa di completamente decontestualizzato, per creare un momento di rottura e enfasi alla fine del capitolo.

C’era però un episodio che volevo citare: il protagonista che scrive qualcosa di intenso su un pacchetto di sigarette e poi lo getta via come se nulla fosse scendendo dal tram. Ora, se quel pacchetto di sigarette fosse stato di una marca diversa, che so io – Macedonia, allora si sarebbe potuto chiudere veramente il cerchio (che storia, quella!). Affinché ti sia chiaro ciò che non sto dicendo, dovrai arrivare però alla fine de L’effetto farfalla. Prima credo proprio sia impossibile. Tutti i libri sono intrisi (impregnati più che altro) di citazioni continue. Nei primi tre (quelli che hai letto) non c’è nessun aiuto per rintracciarle. Neanche una. Più avanti (col passare dei libri) svelerò qualche segreto, ma non troppi.


*Parlando di personaggi mi chiedevo se ci sono tratti di te in loro. Generalmente gli autori tendono e mettere un po' di sé nel protagonista ma non essendoci un vero e proprio protagonista unico vorrei sapere in quale ti rivedi di più, quale senti più affine a te e perché.*


Io sono in ogni personaggio di cui ho scritto. Lo sforzo che ho fatto durante la scrittura è stato quello di evitare di scrivere una semplice autobiografia. Insomma, i miei tratti sono un po’ ovunque. Io non ho gli occhi blu, ho la barba che non raso mai con attenzione, faccio tanto sport – in particolare corro, cerco di sondare gli occhi delle persone per scoprire di più di loro risultando ogni tanto un poco invasivo, sono una persona molto analitica e vecchia dentro, ho un umore oscillante di cui cerco di non essere schiavo, sono continuamente in viaggio. Quando avrai letto tutti i libri potrai avere un quadro più chiaro. Credo. E se non lo avrai, cosa importa!


*Ho notato che il libro è scritto totalmente come se fosse narrato da una voce esterna, una sorta di spettatore che racconta cosa succede guardando da una finestra aperta. A un certo punto però, vicino al finale, c'è un capitolo che è narrato in prima persona da Jeanne. A cosa è dovuta questa scelta?*


Lì mi serviva un’accelerazione. Jeanne si chiude in bagno in preda ad una crisi di panico. La prima persona è uno strumento che mi appassiona, in quanto può non avere alcun filtro e ti sbatte in faccia l’emozione pura.

È come quando in un film il regista cambia il piano sequenza e ti fa vedere la scena con gli occhi dell’attore. 

Ecco. Se avessi studiato per essere uno scrittore, questa cosa l’avrei approfondita fino alla morte.


*Le tre storie sono leggibili anche separatamente. Quando sono nate avevi già deciso che avrebbero costituito un unico romanzo o avevi in mente tre libri distinti?*


Tutti i libri che ho scritto possono essere letti separatamente, non c’è un prima e un dopo. C’è solo un ordine cronologico di scrittura. All’inizio avevo in mente solo Aspettami sotto la pioggia. Poi, gli altri (intendo tutti gli altri libri - tutti) sono venuti a galla un po’ tutti insieme, secondo uno schema di ragionamento multicanale.


*Mi hai parlato di un progetto molto più grande. Da quanti volumi è composto questo progetto? Sono tutti legati tra loro come se fosse una sorta di saga?*


Nessuna saga, nessun elfo che brandisce spade o archi. Ad ora sono sei libri, comunque tutti indipendenti e tutti collegati. Il mio progetto non riguarda tanto i contenuti quanto piuttosto la forma e la modalità di fruizione. Questi libri non si troveranno mai online o in una libreria, ma dovranno solo girare di mano in mano.


*Non saranno mai né online né in una libreria, per cui se un lettore volesse tenerne una copia a cui si sente particolarmente legato non potrebbe farlo?*


A quello penserei io, ma sarebbe un peccato non permettere ai volumi di camminare, considerando che li ho dotati di gambe sufficientemente fortiin sintesi: non li vendo. a chi me lo chiede, li spedisco o li porto a mano.


*Hai scelto di non dare una vera e propria trama al libro e puntare tutto sulle emozioni. Non pensi che sia un'arma a doppio taglio? Voglio dire, generalmente la trama e la copertina sono le prime cose che attirano il lettore.*


Hai ragione. Il fatto è che io non cerco consensi. Cerco solo pance da smuovere, lacrime da strappare fuori. 

Le copertine le faccio io, dopo averle pensate a lungo e sono parte integrante della storia, sempre. Le epigrafi le scelgo con estrema cura, senza mai scrivere donde vengono. Ogni cosa nei libri ha un significato specifico. La trama, in ogni caso, arriverà. E ci sbatterai il muso contro.


*Per il momento non voglio farti altre domande sul libro, va letto e non voglio rovinare eventuali sorprese ai prossimi lettori. Parliamo, invece, un po' di te.

Come è nata la tua passione per la scrittura?*


Ho sempre scritto da quello che ricordi, in conseguenza del fatto che ho sempre letto. Se dovessi scavare nei meandri delle decadi passate, direi che lo spunto primordiale viene da Verne, colui che per primo ha catturato in toto la mia attenzione di lettore (NON onnivoro, piuttosto decisamente snob). Ho scritto così tanto in vita mia che ogni tanto, ancora adesso, quando scrivo attingo a vecchio materiale che sono riuscito a conservare nella memoria fredda di qualche vecchissimo floppy disc.


*Nel libro la musica ha un ruolo fondamentale, è mooolto presente. Nella tua vita è altrettanto importante?*


Io vivo sommerso di libri e dischi. Sono uno di quei vecchi romantici che continua a comprare CD e dischi in vinile. E ti dirò di più. Sono circondato di amplificatori e casse Grundig di fine anni 70’, che compro e rimetto a posto, dandogli nuova vita. Perché la musica, io non voglio semplicemente sentirla. Io voglio ascoltarla con tutti i sensi, perfino con gli occhi. E voglio farlo come si deve. Motivo per il quale il mio appartamento ha librerie ovunque, perfino vicino al soffitto. Non rinuncio mai né alla musica, né ai libri, di cui seleziono di solito anche l’edizione che voglio avere e la traduzione che più mi aggrada. Insomma, sono il classico pollo da spennare.


*E ultima, ma non meno importante: il blog si chiama 'Confidenze librose'. Ci lasci una confidenza anche te?*


Non credo di avere particolari confidenze da fare, ma posso lasciarti un’idea di cosa intendo io quando parlo di comunità. E non lo farò con parole mie, ma con quelle del Signor G (a proposito di musica e di artisti in generale). Nel 1992, lui, ha pubblicato una canzone in prosa, in cui ad un certo punto dice così.

“Qualcuno, qualcuno credeva di essere comunista e forse era qualcos’altro

Qualcuno era comunista perché sognava una libertà diversa da quella americana

Qualcuno era comunista perché credeva di poter essere vivo e felice

Solo se lo erano anche gli altri”

Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro.


*Prima di chiudere la nostra chiacchierata...disolito mi diverto tanto fare un giochino di immedesimazione con gli autori: 

Apprendista libraio per un giorno!

Ci sono i tuoi libri sugli scaffali, entra un lettore che ti chiede consiglio. Come lo indirezzeresti verso una delle tue opere? Insomma quali sono i primi 3 buoni motivi per cui un lettore dovrebbe scegliere un tuo testo piuttosto che un altro?*


A un lettore indeciso consiglierei senza dubbio un romanzo di Baricco (altro che il mio!), scegliendo in base alle sue caratteristiche. Poi, gli chiederei: “Vuoi sentirti parte attiva di un libro? Vuoi essere parte di qualcosa che non appartiene ad alcuno? Vuoi sentirti sull’ottovolante, scombinando le tue emozioni?”. Nel caso in cui fosse interessato gli passerei il (mio) primo libro, senza chiedergli un centesimo in cambio. 

Credo, io, che non possiamo avere l’arroganza di scegliere i libri. Perché, alla fine, sono i libri che scelgono noi. Bisogna solo aspettare e farsi trovare.


*Grazie Diego, è stato un piacere alla prossima!*

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