mercoledì 13 ottobre 2021

Tutto il bene, tutto il male - Carola Carulli

 

Titolo: Tutto il bene, tutto il male
Autore: Carola Carulli
Edizione: Salani; 7 ottobre 2021
Pagine 224
⭐⭐⭐⭐⭐



Chiudo questo libro dicendo “Mamma mia!” e credo che questo renda perfettamente l’idea della mia convinzione che sia un libro che lascia il segno e che non si dimentichi tanto facilmente. Un esordio coi fiocchi!

È la voce di Sveva, giovane ragazza romana, a narrarci la propria vita, in particolare nel rapporto sofferto con la mamma Sarah e in quello speciale con la zia Alma, quella zia stramba, come viene definita da tutti, perché si distingue dagli altri che la circondano. Perché le piacciono i palloncini e dice sempre quello che pensa, perché preferisce la natura e gli animali alle persone, perché ama il mare e andare alla ricerca degli anelli nei mercatini, e teme immensamente il legarsi a qualcuno e dire di averne bisogno, e perchè è una sensitiva, come la nonna Alma, riesce a comunicare con gli spiriti.
Sveva si rifugia a casa sua quando il mondo intorno a lei comincia ad andare in frantumi e inizia a realizzare le colpe del padre e della sua assenza e la sofferenza che la madre nega, chiudendosi nel suo bozzolo dorato di apparenza.
La zia è l’unica che riesce a darle quell’amore che cerca, a trasmetterle il senso di appartenenza, di vicinanza e di protezione che non è mai riuscita a trovare a casa, facendole desiderare che fosse lei la sua vera mamma.
E lo fa nel suo modo speciale: con le sue battute, col suo profumo di vaniglia, con i tuffi in mare e le lunghe passeggiate sulla spiaggia con il cagnolino Billo inseparabile, anche lui un po’ strambo uguale per aver sofferto troppo prima di lei, con le gite fuori porta che la portano a guardare la città con un occhio diverso e un po’ magico, nonostante Sveva non creda che la magia e i fantasmi esistano.
Ed è l’unica, la zia Alma, capace di scuoterla realmente, la prima volta dandole una sorella, la seconda mettendola di fronte alla realtà, anzi sbattendogliela davanti e costringendola ad affrontarla o arrendersi per sempre.
Ma è anche una donna che, dietro alla propria indipendenza e all’ostinata ribellione agli schemi e alle regole sociali, porta una immane sofferenza e vede questa vita solitaria e senza legami come unica possibilità di sfuggire al dolore che l’ha da sempre accompagnata facendola sentire come sbagliata e imperfetta nel rapporto con la infelice madre, Clara, che non era mai riuscita a riprendersi dal veder sfumare il proprio sogno, e che aveva messo tutto l’impegno nel rendere invivibile la vita alle figlie e al marito Emanuele.

Il rapporto speciale con questo papà delicato e fragile, che non si arrende a vivere una vita infelice accanto ad una donna che non lo ama, ma che resta comunque sempre intrappolato in quel dolore senza trovare altre donne, che riesce a dare sicurezza alla piccola Alma, e farla sentire dove vorrebbe essere anche se tutto intorno a lei va in frantumi, che le riesce a trasmettere la poesia, la magia della vita e a non farle smettere mai di credere nell’amore, è talmente dolce e perfetto, da restare uguale anche quando lei diventa adulta, e da straziare quando la vecchiaia prende il sopravvento.
È stato per me il momento più toccante in assoluto, facendomi andare inevitabilmente col pensiero al rapporto col mio papà e a come potrà diventare un domani.

“Non si smette mai di essere figli, soprattutto se chi ti ha cresciuto è stato il nostro razzo verso il cielo. E per quanto i nostri genitori facciano errori, inciampino, ci facciano del male, non vogliamo mai smettere di essere figli. Perché poi davanti a noi non c’è più nessuno che ci dica dove andare, che sia un consiglio o un obbligo, morale o immorale, loro camminano davanti a noi a illustrarci paesaggi che già conoscono. E che ti piacciano o no, provi a sbirciarli e magari a cambiarli, come ho fatto io con mia madre.
Per tutta la vita ho provato a scansarla da me, con i suoi denti non mollava la presa della mia esistenza. Solo tanto tempo dopo ho capito che quella presa era l’unica cosa che la faceva sopravvivere. Ogni legame ha una sua storia, per quanto guasto sia.”

Le parole di Sveva/Carola graffiano, arrivando dritte al cuore, lacerando qualsiasi difesa ci si possa essere costruiti. Sono ferme e dirette, riescono ad andare dritte al punto. Ma possiedono anche una poeticità, una capacità di sfiorare e accarezzare, cullandoci e facendoci desiderare di poter tornare proprio lì in quel momento della nostra gioventù, quando tutto era in crescita e in costruzione e niente era definito e il futuro aveva il sapore dell’ignoto, capace di inebriare e terrorizzare allo stesso tempo.

Gli odori e le sensazioni tutte sono ciò che risalta da queste righe, che contraddistinguono i momenti e che restano impressi nelle memorie, più dei momenti stessi, emergendo in maniera inestricabile. Ed io che ho una memoria olfattiva lo so bene quel che sono capaci di suscitare, quando vengono fuori senza che sapessi nemmeno di possederli.
Ma, come ha detto qualcuno prima di me, “l’essenziale è invisibile agli occhi”.

“Dove finiscono gli odori delle persone che muoiono? Finiscono come lo sporco dei pavimenti vecchi, si attaccano nelle narici e diventano così parte di te che non te li ricordi più, poi basta una folata di vento a riportare a galla tutto, a scaraventarti dentro un passato che non avevi più ricordato. Le nostre tasche sono piene di oggetti pesanti, che a ogni passo si allargano o si stringono mentre camminiamo attraverso gli anni delle nostre vite.”

I ricordi sono un aspetto fondamentale delle esistenze di queste donne e di tutti, e il mare ne fa parte, quel mare che restituisce i legami, saldandoli definitivamente, un mare che con il proprio lento e inesorabile movimento rende chiaro come il tempo sia ciclico, come il passato sia il punto di partenza ma che si debba andare avanti sempre e ripartire e vincere qualsiasi resistenza, come nel rapporto sofferto di Alma con la maternità, che non la ferma ma le offre nuove possibilità ed opportunità solo quando decide di abbandonarsi al suo fluire.

Al centro di tutto ci sono i legami, quelli di sangue e quelli scelti, quelli che non possiamo far nulla per cambiare e quelli che invece cambiano noi per la vita; e ci sono le emozioni e i sentimenti, che dirigono le azioni di tutti i protagonisti di questo libro, anche di quelli che le negano, e che ci portano a ridere e gioire oppure a soffrire e versare lacrime, sia che si parli della vita di una che dell’altra donna.
Inizialmente potrebbe sembrare, a me era sembrato, che l’autrice volesse parlare di perdono, ma con una brusca sferzata poi si realizza che non è così, e che la dote più grande è la capacità di cambiare, di evolvere, perché in certi casi è impossibile perdonare, e come tutti i personaggi di questa storia ci insegnano, nella loro imperfezione, a volte non ci si riesce proprio.

Ma tutti sono invece capaci di evolvere stando dietro alle nuove sfide della vita, o lo diventano, e chi invece non ci riesce annega nella propria disperazione.
E questo è il messaggio che mi ha permesso di entrare in sintonia con l’autrice, perché è il principio su cui ho fatto salda la mia vita, e in cui credo fermamente, anche se tante volte ancora, nonostante la mia età, come Alma faccio fatica a staccarmi dai legami e dal momento che vivo e trovare il coraggio di andare verso l’ignoto.
Perché non è mai semplice farlo e entrambe le donne lo imparano a proprie spese, una prima e l’altra dopo.

“Corsi in piena notte lungo la mia città, attraversando i vicoli stretti e guardando i palazzi storti. Il chiasso delle persone attutiva il mio dolore, un dolore che mi penetrava e accoltellava i fantasmi di tutta una vita. Bisogna un po’ morire per rinascere, è così che dicono, io c’ero quasi, ma ogni lutto ha una radice diversa.”

“È nei momenti che vuoi dimenticare che devi ricordare, Sveva. Si devono ricordare l’infelicità, il dolore, le spaccature, perché è da lì che rinasciamo sempre, è lì che dobbiamo tornare per andare avanti.”

Ed è lì che stanno “tutto il bene e tutto il male” di questa vita.

Ma è ciò che si riesce a raggiungere, il traguardo a cui porta, che dà valore anche a quella sofferenza, senza lasciarsi tenere giù da chi non è capace di raggiungerlo o di vederlo.
Perché come dice una canzone a me cara: “ti potranno dire che non può esistere niente che non si tocca o si conta o si compra perché chi è deserto non vuole che qualcosa fiorisca in te”.

“Perché io non ci sarò per sempre e tu devi costruirti un tuo per sempre. Manda a farsi fottere la tua paura, la tua insicurezza, guardala e sputale in faccia, se necessario. Devi vivere, Sveva, non lo stai facendo anche se forse ti sembra di sì. Stai vivendo le vite degli altri, la mia, quella di tua madre che continui a perdonare, e mentre la perdoni non perdoni te stessa. Ed è così che la odi ma non vuoi ammetterlo. Cerchi ancora tuo padre, non c’è mai stato e non ci sarà. Chi ti ama resterà comunque, io resterò accanto a te ogni singolo giorno della tua vita e se la vivrai davvero io ci sarò ancora di più. Ma adesso te ne devi andare, devi lasciarli quei dolori che ti fanno solo galleggiare in un mare di rimpianti...”
“Te ne devi andare Sveva” disse dopo qualche minuto, “e non ti devi voltare. Trova il senso e vattelo a prendere. Te li puoi mangiare tutti là fuori, ti puoi masticare le loro miserie, lo puoi fare, ma ti devi fidare di te. Sei diversa dal resto del mondo, come lo sono stata io, e devi capire prima possibile che è molto meglio così.”

E perchè “ti prendono in giro se continui a cercarla ma non darti per vinto perché chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle, forse è ancora più pazzo di te”.
Leyla è il più bel risultato di un’interrogativo, il perfetto coronamento di un’esistenza impiegata a lottare contro se stessa per tener nascosti e protetti i propri sentimenti e la parte più fragile di sè.
Ma porta anche l’aria di rinnovamento che manca nella vita di Sveva e che le riesce a dare la forza di ripartire.

“Cominciò a canticchiare la melodia in macchina, mentre andavamo verso quel mare che ci aspettava, correvamo verso Alma, il suo mondo impossibile, verso fantasmi e draghi, verso quello che non vedevamo ma in cui credevamo. E se esiste l’amore nessuno sa come sia fatto, non ha un volto un corpo non ha occhi né braccia. Nessuno lo ha dipinto mai l’amore, che non è un angioletto con una freccia in mano. Io non lo so che cos’è, ma l’ho respirato in Leyla, in quella pozzanghera e infine dentro quel mare, che si riempì di petali colorati.”

Perchè è vero che ci vuole coraggio a vivere e ad essere se stessi, diversi da chiunque altro. Ma è ciò che rende una vita degna di essere vissuta.
Ed allora “seconda stella a destra, quello è il cammino, e poi dritto fino al mattino.”


Un grazie speciale alla casa editrice Salani che per me è ormai una garanzia!

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