martedì 27 luglio 2021

L' ANGOLO DEL CLASSICO Cheri - Colette

 

Titolo: Cheri
Autore: Colette
Edizione: piccola biblioteca Adelphi 164; 1984
Pagine 167
⭐⭐⭐


È il primo libro che leggo di Colette e lo chiudo con un meh.

Ambientato in una Parigi Liberty è tutto incentrato intorno alle due figure dei protagonisti.

Una è Fred, detto Cheri, giovane ragazzo bambinone e mammone, abituato ad averla sempre vinta e ad avere tutto quel che gli pare, sia a livello economico che con le donne, grazie al suo meraviglioso aspetto.

Ma proprio per questo motivo la relazione con Lea, donna molto più grande di lui, è l’unica costante della sua vita, l’unica parte delle sue giornate di cui non riesca a fare a meno senza provare uno struggente senso di perdita, l’unica che riesca a fargli provare qualcosa di reale, un sentimento vero, perché lei è l’unica capace di tenergli testa e di non dargliela mai vinta, non facendogli riconoscere mai i suoi sentimenti.

Ma sarà di questo che lei in chiusura dovrà pentirsi, quando si renderà che è troppo tardi, che ha sacrificato la sua vita, i suoi anni, la sua esistenza, per sentirsi forte e superiore, pur di comandare lei il gioco e di non ammettere di aver bisogno di nessuno, dovendosi però arrendere suo malgrado allo scorrere inesorabile del tempo, che lascia su di lei i segni.

Durante la lettura di tutto il libro ho vissuto un crescente senso di angoscia, anche se a un livello superficiale il racconto sia molto frivolo, tutto fatto di lussuria, salotti nobili e belletti, viaggi e piaceri.

Il livello del non detto, del sottinteso, è però quello che invece risulta essere l’opposto di ciò, tutto focalizzato sulla fuggevolezza dei momenti e dei periodi, sullo scorrere, scivolare via eternamente inafferrato.

Per Cheri si tratta di ciò che è veramente importante per lui, ciò a cui tiene veramente, ma che non riesce a riconoscere in tempo e che decide di perdere incapace di crescere e assumersi la responsabilità di una scelta, o forse, invece, pur di fare finalmente una buona volta una scelta nella sua vita decidendo di assumersele e di non ferire più altre persone.

Per Lea invece si tratta del tempo, dei segni che lascia sul suo corpo in maniera indelebile, della bellezza che sfiorisce, delle apparenze che mutano, che non sono per sempre, e che lasciano il vuoto se non c’è altro di più profondo a restare, quello che invece lei ha lasciato andare troppo a lungo, troppo concentrata su altri aspetti più frivoli, su abiti, trucchi e capelli, per mantenere intatta la sua immagine di femme fatale, autonoma e indipendente. Quindi forse, a guardar bene, si tratta anche per lei di non aver riconosciuto ciò che era veramente importante finché non è troppo tardi.


La nota sull’Autore mi ha svelato qualcosa in più riguardo la scelta di un tale argomento che trovo, per quanto oggi quanto mai attuale nella nostra società, certamente precursore ai tempi, ma che, nonostante ciò, non avrei mai scelto come tema di un libro.

Il fatto che abbia instaurato una relazione con il giovane figlio di un suo marito, anche se fatta risalire a un momento successivo all’opera, lascia comunque l’interrogativo su quanto di autobiografico ci sia nella protagonista e dei conflitti interiori vissuti da questa.


Avrei potuto definire lei come una milf e lui come un toy boy, a seconda della prospettiva, ma non è quello sessuale l’aspetto qui prevalente.

Ed il finale rende questo ben evidente, non potendo essere più azzeccato di quel che è, seppure struggente e ancor più angosciante, ma degno culmine per aver imboccato le strade sbagliate.

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