È il primo romanzo che leggo di uno psicoterapeuta famoso contemporaneo e devo dire che ne sono rapita ed estasiata.
Titolo: La cura Schopenhauer
Autore: Irvin Yalom
Edizione: Neri Pozza; 25 giugno 2009
Pagine 479
⭐⭐⭐⭐⭐
Seguiamo dei piani narrativi diversi contemporaneamente. Uno è la storia di Julius e la sua scoperta nelle prime pagine di avere un melanoma e che gli restano pochi anni di vita, forse uno. A questo si affianca fin da subito la storia di Philip, suo ex paziente, che il dottore cerca per un insano istinto di andare a testare l’effetto che abbia avuto la sua terapia sui pazienti che ha curato a distanza di anni, scegliendo però proprio quello che ne ha tratto minori benefici, apparentemente. Ed è proprio quello che sta cercando di diventare terapeuta filosofico e chiede allo psichiatra una supervisione.
Subito dopo si aggiunge la narrazione della terapia di gruppo, del gruppo già avviato in cui viene inserito Philip.
La terapia del gruppo viene seguita incontro per incontro ed è la più realistica che io abbia mai letto su di un libro, compresi i manuali da cui ho studiato.
Ci affezioniamo ad ognuno dei personaggi coinvolti, li odiamo o li apprezziamo mano a mano nei loro percorsi personali ma anche nella loro relazione interpersonale che li fa crescere e soffrire ed amare incontro dopo incontro.
La cosa che balza di più all’occhio è che la presenza della figura di Julius è decisiva e conduce abilmente la terapia, ma contemporaneamente è anche una figura indistinta che riesce a confondersi famiglia tra i pazienti intervenendo senza sconvolgere quando necessario, ma esponendosi e mettendosi in gioco egli stesso.
Si avverte chiaramente come dietro ci sia la mano di uno tra i più bravi psicoterapeuti contemporanei.
Insieme a tutto questo, seguiamo anche la storia di Schopenhauer, che ci viene presentato come uomo, oltre che come filosofo, il che ci permette di seguire in diretta la creazione delle sue teorie filosofiche, che ci fa capire chiaramente come nascano dalla sua sofferenza, dalla sua situazione famigliare e dalla sua solitudine. Parallelamente ci viene presentato Philip con la sua storia, che si confonde con quella del filosofo, a cui si è ispirato, ricorrendo alle sue teorie come cura per la propria dipendenza, e che porta a ravvisarne le grandi somiglianze.
Al punto che alla fine io stessa fatico a distinguere i due nei ricordi.
L’evoluzione di Philip nel gruppo però è toccante e meravigliosa.
La scena del penultimo incontro e dello scambio tra Julius e Philip mi ha acceso e scaldato il cuore, facendomi versare calde lacrime, perché so bene da psicologa cosa significhi assistere davvero a momenti come questi.
La conclusione è straziante, nonostante sia qualcosa che ci si aspetta, mi ha spezzato il cuore.
Ma è davvero davvero bello vedere l’eredità che lascia. È il degno coronamento di un’esistenza, passata a cercare di fare del bene alla gente, e a fare i conti nella propria fine, negli ultimi mesi di vita, con ciò che si può ancora dare, a fare pace con la Vita e a darle un senso riconoscendone la meraviglia ed unicità.
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