lunedì 31 maggio 2021

L' ANGOLO DEL CLASSICO Uccelli di rovo - Colleen McCullough

 

È davvero complicato per me ora recensire questo libro, dopo un gdl lungo quasi un mese, per cui ringrazio Baba del blog Desperate bookswife.


Titolo: Uccelli di rovo
Autore: Colleen McCullough
Edizione: Bompiani; 1983
Pagine 544
⭐⭐⭐⭐

Si tratta della storia della famiglia Cleary, che parte dalla Nuova Zelanda con i capostipiti Fiona e Paddy, e i tanti figli che ne discendono, che si spostano in Australia grazie alla donazione della sorella di Paddy, Mary, irlandesi di origine, della tenuta di Drogheda con i suoi allevamenti di pecore.

Prosegue poi con i figli di Meggie, Justine e Dane, che spostano la narrazione in Europa, tra Roma e Londra.


“Continua a dormire, poiché soltanto i buoni muoiono giovani. Perché ci affliggiamo? Sei fortunato ad esserti sottratto così presto a questa tediosa esistenza. Forse l’inferno è questo, un lungo periodo legati alla schiavitù sulla terra. Soffriamo le pene dell’inferno vivendo...”


Questo è lo spirito di tutto il libro, dall’inizio alla fine, della storia di tutti i componenti della famiglia Cleary nelle tre generazioni che incontriamo durante quasi un secolo, in particolare per le donne.

Protagonisti ce ne sono tanti ma su tutti spiccano Fee, la capostipite, e Meggie, unica sua figlia femmina, e padre Ralph de Bricassart, da un lato, e poi Justine e Dane, i figli di Meggie, dall’altro. Accanto a loro però si muovono tantissimi altri personaggi tra cui i fratelli di Meggie, che restano però un po’ in secondo piano sul totale del libro, pur risaltando in alcuni singoli momenti.

Per me su tutti emerge Justine, che sola riesce a cercare il riscatto e liberarsi dai propri demoni, mentre tutti gli altri finiscono per essere causa della propria fine disastrosa nonostante fosse chiaro dove li avrebbero condotti le loro azioni e le scelte fatte, così come fa un uccello leggendario che intona il suo canto migliore proprio mentre è infilzato da una spina di rovi.

La sua irriverenza e la provocatorietà che la contraddistinguono, così indipendente, ambiziosa, artistica, femminista, passionale ma non sentimentale, a suo modo anche impulsiva, ma mai sdolcinata; tutto l’opposto di quel che era Meggie, che invece mi ha cominciata a infastidire da appena è cresciuta un po’, ma molto simile a quello che diventa da adulta, così tanto che infatti si ritrova a criticarla costantemente e ad esserne gelosa. Fa sorridere ironicamente come la madre critichi la sua voglia di diventare famosa e di non sposarsi quando poi lei stessa ha preferito restare sola, definendo la relazione di coppia la cosa più distante da se stessa.


Tutto, o quasi, è segnato dalla rovina, dal fallimento e dalla morte, ed è complicato distinguere quanto siano causati dal comportamento dei personaggi e quanto alla sfortuna, che pure gioca una parte importante.

Questo mi dispiace soprattutto per Frank che era il protagonista che preferivo nella prima generazione di figli.

Anche Fee purtroppo è segnata da tragedie e perdite e non riesce a realizzarsi ed esprimersi come sembrava potesse fare.


La parte che gioca il ruolo principale è la relazione tra Meggie ed il prete, per di più con 18 anni di differenza. Questo sicuramente era una miscela esplosiva per l’epoca, e anche ai nostri giorni non sarebbe stato qualcosa di tollerabile, ma nell’immaginario collettivo sono entrate le scene scabrose dello sceneggiato a puntate trasmesso in televisione, quando in realtà nel libro non sono per niente spinte, anzi tutte le scene di sesso non vengono minimamente descritte, o vengono usati termini che oggi fanno sorridere.

L’amore però è al centro di tutti i rapporti, l’amore di diversi tipi, da quello tra genitori e figli, a quello di coppia, a quello per il territorio o per la libertà o anche per i soldi (che all’inizio mancano e dopo diventano una quantità spropositata), e in varie forme, da quello tormentato, a quello troppo facile, da quello fallimentare a quello perfetto che vince ogni resistenza.


Le sapienti descrizioni dell’autrice riescono a far viaggiare in posti che non ho mai visto, e sentire il caldo opprimente di quelle terre rosse e aride.

Importante è anche il discorso della vocazione e, in maniera più generica, della fede che accompagna alcuni personaggi da sempre, si risveglia in altri e ne abbandona qualcuno.

In più ci sono alcuni aspetti innovativi se si pensa all’epoca in cui sono stati scritti, quali il tema della non possibilità di concorrenza di stranieri per la raccolta delle canne da zucchero, e l’aspetto della guerra batteriologica usata per limitare la proliferazione di conigli, argomento quantomai attuale.


Ho molto apprezzato la scelta di dedicare dei macro capitoli ad ognuno dei protagonisti, però mi è dispiaciuto che i fratelli di Meggie più grandi restino un po’ in ombra e che la storia di Frank non abbia risvolti di alcun tipo.

Altra pecca è stata per me la lunghezza dei capitoli, che preferisco più brevi perché danno la sensazione di avere modo di poter assimilare la grande quantità di informazioni che invece vengono concentrate in un’unica volta.


“Non è un uomo malvagio, e non è nemmeno odioso “ continuò. “È un uomo, semplicemente. Siete tutti gli stessi, grosse falene pelose che si riducono in pezzi cercando di raggiungere una stupida fiamma dietro un vetro così trasparente da impedire ai vostri occhi di scorgerlo. E, se riuscite a penetrare al di là del vetro e a volare entro la fiamma, cadete bruciati e morti. Mentre intanto continuamente, fuori, nella notte fresca, ci sono cibo, e amore, e piccole falene da possedere. Ma lo vedete tutto questo, lo volete? No! È sempre la fiamma ad attrarvi e battete contro il vetro fino a tramortirvi, oppure morite bruciati!”


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