Titolo: La figlia osura
Autore: Elena Ferrante
Edizione: e/o; 6 novembre 2006
Pagine 141
⭐⭐⭐
La protagonista di questo libro, Leda, è una donna vicina ai cinquanta, separata dal marito che si è trasferito in Canada per lavoro, dove le due figlie grandi lo hanno da poco raggiunto, che decide di godersi la nuova vita da sola andando in vacanza per tutto il mese di agosto in un paesino sullo Ionio.
Comincia però subito a fare tutta una serie di riflessioni sulla sua vita e su di sè, nonostante questo non sia in realtà il suo primo periodo da sola, sullo spunto offerto dall’incontro in spiaggia con Nina, una ragazza napoletana, e la sua bimba Elena, insieme alla loro vasta famiglia.
Il senso di profonda inquietudine che lascia questo libro, come di imminente catastrofe e di oscurità che ti accompagna dall’inizio alla fine della lettura, è ancora presente in me, nonostante lo abbia terminato ieri.
A partire dal fatto che facciamo la conoscenza della donna al ricovero in ospedale dopo che è uscita di strada con l’auto, a causa di un ipotizzato colpo di sonno, ma miracolosamente illesa con solo una inspiegabile ferita al fianco.
Il gesto che compie in spiaggia all’inizio della storia e che ci guida fino alla fine nelle sue riflessioni, risulta davvero incomprensibile e lascia spazio a numerosi interrogativi al riguardo, perché sembra dar voce ad una parte di lei più cupa e distruttiva.
Durante tutto il racconto della sua storia che ripercorre nei ricordi, ritroviamo la sua voglia di emergere, il suo bisogno di differenziarsi, la ricerca di un’identità che nella famiglia di origine pensa di non essere riuscita a realizzare, e poi crede di aver perso al momento della nascita della seconda figlia, momento nel quale ha sentito realmente il passaggio all’età adulta.
Qualcuno ho letto che abbia definito questa storia il racconto della maternità. Non sono d’accordo. Trovo che questo sia il racconto di una cattiva maternità.
La protagonista di questo libro è una donna profondamente insoddisfatta, frustrata, che sente di non aver realizzato nulla, nonostante abbia una bella famiglia ed il lavoro all’università che desiderava, ma che alla soglia dell’età adulta va in crisi e sente di non essere pronta e quindi anela ad una libertà che, più che dalla propria vita come crede, sembrerebbe da se stessa.
Ma quella che apparentemente è la ricerca di se stessa e di darsi un senso, uno scopo, diventa il gesto insensato di una persona profondamente ritrosa e che ha difficoltà a stabilire relazioni sane con chi la circonda, ma solo di invidia o di fastidio, una persona profondamente depressa.
E questo è ciò che si manifesta alla fine in tutta la sua autodistruttività.
Mi sono chiesta più volte se la sua dichiarazione, alla fine, non sia il massimo gesto di sacrificio, un voler evitare a una giovane in cui rivede se stessa, di intraprendere la sua stessa strada, di diventare simile a lei, ma non sono riuscita a vederlo così. Non credo che una donna del genere, come l’abbiamo conosciuta in tutto il libro, ne sarebbe capace.
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