Titolo: Vent'anni dopo
Autore: Alexandre Dumas
Edizione: BUR; aprile 2009
Pagine 854
⭐⭐⭐⭐⭐
** spoiler alert **
Seguito del primo della trilogia Dei tre moschettieri, a quarant’anni dalle vicende di quello.
Ritroviamo i nostri beniamini in vesti molto diverse dalle precedenti: Aramis è diventato conte d’Herblay, e si occupa di una chiesa di provincia con Bazin; Porthos è proprietario di diversi terreni lasciati dalla moglie deceduta prematuramente, e molto ricco; Athos si è trasferito in una proprietà ereditata ed è diventato il conte di La Fere, dove cresce Raoul, il valoroso ragazzo che crede di aver perso i genitori.
Solo D’Artagnan è rimasto luogotenente dei moschettieri del re, come lo avevamo lasciato.
E quando in città si comincia a temere i frondisti, movimento che, con la guida dei principi, cerca di difendere i diritti del popolo povero e scontento per le tante tasse imposte dal cardinale Mazzarino, italiano che ha sostituito Richelieu, amante della regina che si trova ad essere la reggente del re Luigi XIV, ancora bambino, e il cardinale soprattutto comincia a temere per la propria vita, D’Artagnan propone di ricostituire il gruppo di 4 amici che era tanto infallibile e imbattibile in passato e si reca quindi dai tre per cercare di convincerli con promesse di vario tipo, a riarruolarsi.
Trova però terreno fertile solo in Porthos che, pur avendo tanto, è un po’ annoiato per la mancanza di avventure e desidera un titolo nobiliare per non sentirsi inferiore rispetto ai vicini.
Come sempre Dumas è infallibile.
Leggere di come sia dovuto morire in povertà e solo, ogni volta fa male al cuore, sapendo che genio fosse e come in seguito i posteri gli avrebbero dato l’ampio riconoscimento e l’acclamazione che meritava.
La sua capacità di costruire scenari di finzione su basi storiche è secondo me unica e il lavoro di documentazione che deve aver svolto per riuscire a caratterizzare così bene le figure che compiono tali gesta, deve essere stato profondo e consistente.
E già solo questo vale la fama che ha, se teniamo conto di come ai suoi tempi fosse complicato, non avendo internet e pc.
Se già nel primo però non avessi apprezzato il personaggio di D’Artagnan, qui per tre quarti del libri lo ho proprio odiato, sia per il fatto che pensi di poter convincere gli amici per i propri scopi irretendoli con promesse non fondate, unicamente per i propri personali scopi, sia perché poi si riveli ancora la testa calda che era, incline a prendere fuoco facilmente e allo scontro, a causa del proprio orgoglio. E se questo in un giocane potesse essere giustificabile, in un uomo che abbia superato i 40 anni, riesco ad ammetterlo un po’ meno. Nonostante le origine guascone.
Porthos non è cambiato minimamente rispetto al passato, anzi lo ritroviamo con ancora più voglia di gozzovigliare e di battersi dando sfogo agli istinti più materiali, lasciandosi trascinare dal moschettiere.
Athos e Aramis sono invece diversi, distinguendosi per le aspirazioni più elevate, nonostante Aramis resti comunque molto legato ai piaceri della carne e alle donne, come dice lui stesso “molto più moschettiere ora che è diventato abate, di prima”.
Nonostante Athos sia dipinto come uomo eccelso, di spirito più puro e di alti ideali e principi, compassionevole anche quando forse diventa difficile comprenderlo, per cui gli affetti sono sacri, non diventa fastidioso nella sua perfezione, ma capace di produrre maggiore affetto in me e la voglia di abbracciarlo in tante situazioni dove sembra struggersi per chi non riesca a capirlo.
Solo dal ritorno dalla breve parentesi inglese, il moschettiere muta disposizione d’animo e sembra maturare e crescere e riconoscere che le sue azioni siano state guidate dalla sensazione di inferiorità e di insoddisfazione che lo accompagnava.
La figura di Mazzarino è dipinta come un cardinale furbo, avido, abile macchinatore politico, ma senza spina dorsale, non perfido e ingegnoso come il suo predecessore, tanto che a volte sono finita per provare pietà per lui.
Invece la regina no, ben diversa da come la avevamo conosciuta al fianco del marito Luigi XIII, irriconoscente nei confronti di coloro che si sono battuti per lei rischiando la propria vita, abbandonata agli impulsi e alla rabbia, vendicatrice, mi è ben presto diventata odiosa al punto da desiderare che in uno dei vari attacchi o spostamenti venisse uccisa.
Mordaunt è chiaramente figura di finzione inserita perché ci fosse un vero antagonista malvagio che minacciasse il gruppo, se in un primo momento riesce a fare pietà nel lettore, instillando una minima scintilla di comprensione per essersi visto mancare la madre da giovanissimo, man mano che se ne fa la conoscenza, diventa l’incarnazione del male, fino all’ultimissimo istante di vita, senza possibilità di riscatto o di redenzione alcuna.
Mi sono commossa e anche un po’ arrabbiata con Dumas, per la scelta di lasciar morire Re Carlo, nonostante tutti i tentativi fatti per liberarlo in tempo, non comprendendo il senso di questa scelta.
In fondo però trovo che, così come nel primo, questa come altre scelte narrative, siano ciò che rende i romanzi di Dumas tanto perfetti in quanto corrispondenti a verità nonostante si tratti di romanzi cavallereschi, perché corrispondenti alla realtà, sia storica che umana, dove purtroppo i sentimenti più puri e il bene non possono trionfare sempre.
E questo diventa molto chiaro al ritorno a Parigi dei 4, dove Aramis e Athos, nell’attesa dei due amici, assistono alle macchinazioni dei nobili che, alle spalle del popolo, cercano di trarre dalle contrattazioni unicamente risposta ai propri interessi personali nella maniera più egoistica ed opportunistica, vendendosi il popolo.
Parigi è fortunata in questo caso solo perché dall’altra parte c’è quel cardinale descritto poc’anzi, incapace di comprendere dove gli convenga davvero scendere a patti per evitare conseguenze ben più gravi.
Ma forse l’autore intendeva qui proprio dipingere come, azioni basate su questo tipo di interessi non siano mai affidabili e come ciò che se ne possa trarre finisca per rivelarsi sempre poco stabile e saldo.
Sono infatti i quattro a riuscire a comprendere davvero come muoversi in questo dedalo di intrighi e riuscire a raggiungere gli accordi migliori per tutti.
“Che volete, Athos,” continuò Aramis “gli uomini sono fatti così, e non hanno sempre vent’anni. Noi abbiamo ferito crudelmente, lo sapete, quell’amor proprio che dirige da despota tutti gli atti di D’Artagnan. Egli è stato vinto. Non lo avete udito disperarsi sulla strada? “
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