Stavolta vi parlo de Il giardiniere spagnolo!
Harrington Brande è il console americano che arriva a San Jorge, nella Costa Brava, col figlio Nicholas.
Il bambino è diventato l’unico destinatario di tutto l’affetto e le cure dell’uomo, che esce da un matrimonio tormentato conclusosi con l’abbandono da parte di lei, e anche da una vita di ambizioni frustrate.
Per giustificare le sue attenzioni asfissianti che lo riducono a un ragazzino solitario, senza amici e sempre chiuso in casa, il padre lo ha dipinto come di salute cagionevole e bisognoso di cure, giustificato anche dal parere di uno psichiatra suo amico, il dott Halevy.
All’arrivo nella nuova splendida casa di campagna i due trovano due domestici, Magdalena e Garcia, che si presentano come marito e moglie, servizievoli e indaffarati al punto da conquistare subito l’approvazione del padre, mentre non riescono a dissipare una certa sensazione di diffidenza da parte di Nicco.
Assumono ben presto anche un giardiniere, Josè, un ragazzino che conquista subito le simpatie del coetaneo, suscitando nel padre però una forte ostilità dovuta alla gelosia del sentirsi in competizione nelle sue attenzioni e affetto.
Tutto questo condurrà ad eventi inimmaginabili.
Quando ho iniziato questo libro mai avrei immaginato dove avrebbero potuto portare le reazioni e le conseguenti azioni di quest’uomo.
Inizialmente infatti sembra si tratti di un romanzo di narrativa dedicato alla vita rurale e nulla fa pensare che possa assumere il carattere tragico e forte che invece ritroviamo alla fine.
L’uomo che è protagonista di tutto ciò è semplicemente un uomo profondamente squilibrato, narcisista all’inverosimile, al punto da distruggere le esistenze di chiunque gli stia intorno, perfino del figlio e dietro all’affetto per il quale si nasconde solo, ma che si rivela solo un palliativo per il proprio ego ferito.
Non ho potuto fare a meno di provare per lui un’innata avversione, nonostante in realtà la mia vocazione professionale mi abbia portata a vedere come avrebbe solo avuto bisogno di aiuto serio.
Ma quello a cui sarebbe dovuto servire il dottor Halevy, non si realizza; questo anzi si mostra solo, in tutta la sua pochezza professionale, come sobillatore dell’isteria regnante acuendone le fragilità e aizzandolo verso le persone sbagliate, portando all’inevitabile tracollo finale.
Per lui ho provato invece vero odio, al pensiero che di personaggi così ne siano esistiti purtroppo davvero tanti in passato, che, sentendosi superiori e in possesso della verità assoluta, abbiano devastato gli animi dei loro pazienti, conducendoli alla rovina.
Ovviamente il triste finale, che non è prevedibile se non fino a pochi istanti prima, in quanto l’anima malata e tormentata del protagonista vorrebbe tentare di farsi perdonare per quanto commesso, non arrivare all’epilogo verso cui invece si dirige, non può lasciarmi che tanta tanta amarezza.
Ho però in fondo apprezzato la scelta dell’autore perché rispecchia purtroppo la triste realtà e non un finale romanzesco di finzione.
È da dire che comunque sembrerebbe che il figlio cominci a comprendere alla fine con chi avesse a che fare e a prenderne le distanze.
So dalla biografia di Cronin che tanti suoi romanzi siano stati trasposti in film e, dopo aver letto questo, posso facilmente capire perché.
Sembra di leggere una sceneggiatura. Le immagini scorrono velocemente davanti agli occhi durante la lettura, rese alla perfezione, lasciando spesso e volentieri posto ai dialoghi che riescono a dare perfettamente l’idea dei personaggi che ci troviamo di fronte, nonostante siano in realtà pochissimo descritti.
Nessun commento:
Posta un commento