venerdì 24 marzo 2023

Tu leggi? Io scelgo… Anna - Niccoló Ammaniti

Eccoci al consueto appuntamento mensile con la rubrica che amo, in cui veniamo tutte abbinate random tra di noi da Chiara e dobbiamo scegliere uno dei titoli letti dalla partecipante a cui siamo state associate.

Io, contentissima, ho dovuto scegliere di nuovo da Francesca ed ho scelto il libro di Ammaniti, Anna, un po’ perché mi fido ormai della sua opinione, un po’ perché ero rimasta colpita dal primo titolo letto da poco dell’autore (Qui trovate la sua recensione).

Purtroppo stavolta non sono stata così fortunata come le altre volte, ed ora vi spiego perché…



Anna - Niccolò Ammaniti

Einaudi, maggio 2017; 314 pagine

⭐️⭐️⭐️


Anna e Astor sono gli unici bambini sopravvissuti sulla faccia della Terra, colpita da un’epidemia di un morbo soprannominato La Rossa, a causa delle macchie rosse che ne segnano la comparsa e che spegne le persone in pochi giorni.

Anna che è la più grande, è stata incaricata dalla mamma di occuparsi del fratello, trovando aiuto nel quaderno “delle cose importanti” in cui le ha lasciato scritto tutto quello che le potrebbe servire sapere.

Nella provincia di Palermo deserta, il mondo sembra finito, tornato all’età della pietra, senza più elettricità, automobili nè cibo già preconfezionato, tranne qualche rara risorsa di scatolette, spesso andate a male. I due bambini devono contare solo sulle proprie forze, anzi Anna deve farlo, perché al fratello ha raccontato che al di fuori della recinzione del podere Il gelso in cui vivono, si muore e solo lei riesce a respirare l’aria infetta, per poterlo proteggere dai pericoli continui in cui incappa lei stessa. Tipo animali diventati aggressivi perché non trovano cibo, oppure tipo altri ragazzini come lei che inaspettatamente scopre ancora vivi.

Fino al giorno in cui, tra i tanti imprevisti durante la ricerca di cibo, mentre lei è fuori il bambino sparisce.

Da lì inizierà il viaggio della protagonista per ritrovarlo e poi con altre mete.


Seconda volta per me con Ammaniti nel giro di meno di un mese, questo libro mi ha spiazzata.

Innanzitutto perché non mi sarei aspettata esattamente un distopico da lui, pur avendone letta la recensione di Francesca, e soprattutto perché mi ha stupita come sia capace di cambiare registro narrativo, adattandosi a generi così diversi, pur essendo fondamentalmente entrambi rappresentati da dei giovani ragazzi.

Mi ha anche colpita molto leggere la data di pubblicazione del libro: è il 2015, anni prima di quelli in cui siamo stati colpiti in tutto il mondo dall’epidemia di covid, che, come nel libro, si è ipotizzato creato da mano umana.

Tutto quello che succede nella storia e che probabilmente, in epoche diverse, si sarebbe pensato fantascientifico, oggi sa un po’ di amaro, perché non sembra poi tanto distante e impossibile da avvenire anche nella realtà.

Forse per questo, nonostante abbia apprezzato l’idea, non sono riuscita a non fare fatica nel portarlo a termine, guardandolo come lettura non del tutto piacevole, anzi, nonostante poi quando le leggevo mi rendessi conto di divorarne decine e decine di pagine per volta. 

Da un lato provavo la curiosità di vedere come andasse a finire, dall’altro il timore di trovare nuove violenze e aggressioni.


In particolare non ho mai apprezzato nei libri le violenze sugli animali, e questo, essendocene diverse e per più volte, me lo ha reso un tantino ostico.

Mi ha ricordato tanto Il signore delle mosche, per il modo in cui lo scrittore esprima l’idea di base che le persone, una volta fuori dalla civiltà, diventino violenti e simili a selvaggi, senza quasi più umanità e rispetto l’uno per l’altro o per le sofferenze di qualsiasi altro essere vivente.

Sono dell’idea che questo sia vero solo in parte, per quel che riguarda il fatto che sia la società a tenere imbrigliati e a incanalare alcune energie e istinti che, diversamente, si esprimerebbero senza remore; ma non condivido questa spinta all’estremo della totale perdita di controllo, anche se poi credo che questa sia un po’ la paura di tanti di noi, e che possa esserlo stata quando siamo stati assaliti da un virus che ha mietuto tante vittime stroncandoci senza pietà e senza cure conosciute per farvi fronte.

Inoltre trovo che altro timore, ugualmente fondato, possa essere quello che tutti noi, una volta raggiunto quel punto di non ritorno, saremmo incapaci di procurarci cibo e di cavarcela soddisfacendo anche le necessità più elementari, perché siamo ormai così assuefatti a una civiltà che ci procura tutto quello di cui abbiamo bisogno e lo porta dritto nelle nostre tavole, che in quel caso saremmo completamente sprovveduti e periremmo in molti prima di riuscirci di nuovo.


Credo che questo libro sia stato scritto come una sorta di metafora della strada presa dalla nostra società e di come non ci sia altra via se non l’auto distruzione continuando in questa direzione, ma anche di come i bambini siano la sola speranza e opportunità di salvezza , e Ammaniti identifica anche un’età precisa oltre cui considerarsi persi.


L’aspetto che mi è piaciuto di più invece è lo spiraglio di amore puro che si delinea, non solo tra i due fratelli, ma anche con Pietro e con Coccolone.

Il modo in cui viene introdotto il cane, e poi presentata la storia del maremmano, stringe il cuore, ma dimostra anche come evidentemente gli animali siano, anche nelle storie, di gran lunga superiori agli esseri umani perché sanno apprezzare il bene che gli viene fatto.

3 commenti:

  1. di ammaniti ho letto solo i suoi primi lavori poi mi sono fermata

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  2. Sono contenta che in parte tu abbia apprezzato questo distopico nonostante il tema sia emotivamente difficile.

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