mercoledì 18 agosto 2021

L' ANGOLO DEL CLASSICO Il processo - Franz Kafka

 

Sono profondamente toccata da questo libro ed è uno di quei casi in cui mi piacerebbe tantissimo che l’autore fosse ancora in vita e potesse esprimere la propria interpretazione del testo.

Titolo: Il processo
Autore: Franz Kafka
Edizione: Adelphi; 27 agosto 1978
Pagine 264
⭐⭐⭐⭐⭐




Josef K. che, in molte interpretazioni, sarebbe lo stesso Kafka, viene improvvisamente arrestato, senza conoscerne il motivo, che nessuno vuole svelargli.
Ma è una strana detenzione, in quanto risulta apparentemente libero, di continuare la propria vita e le proprie giornate come al solito.
Ma il problema sta proprio lì: la sua testa non è libera perché continua a girare intorno al processo, prima come rifiuto e negazione, poi in maniera ansiosa per studiare una possibilità di liberarsene, che sembra non esistere, e che comincia ad invalidare tutti gli ambiti della sua esistenza.
Perché il processo famigerato non si svolge mai, resta completamente indefinito, ma esiste, è lì che pende sul capo come uno spauracchio, che non si sa mai quando si manifesterà sul serio.
Il problema principale e protagonista onnipresente è il tribunale, questo luogo stranissimo, anche fisicamente, dalle spire del quale, una volta entrati non si riesce ad uscire mai.
E l’intento dell’autore per me risulta molto chiaro, nella sensazione che per tutto il libro non ci abbandona mai: l’angoscia crescente per la sensazione di essere invischiati, di non potersi liberare mai da questa ragnatela dove, più ci si dibatte più si resta intrappolati, con il ragno che resta lì ad osservare e vigilare dall’alto, senza più bisogno di intervenire perché tanto già ci pensi da solo, e ormai sei suo e lui è libero di stare lì ad osservare la tua lenta agonia, in cui potresti anche morire di crepacuore prima che arrivi lui a mangiarti.
E così avviene per K. in tutti i movimenti che fa.
Nel libro poi il ragno arriva, in una scena finale quantomai straziante, aperta all’interpretazione personale, come nella parabola raccontata dal prete, che invece mi è risultata un po’ più oscura.

Io ho visto nella situazione intera l’allegoria della società in cui viviamo, a cui ci si deve uniformare totalmente per non venir puntati da chi, potente, decide come debba girare il mondo. In questo senso ci si sente liberi in apparenza ma non lo si è mai davvero, dovendo aderire alle aspettative di chi ci circonda.
La vita di Kafka, ebreo nato a Praga ma costretto dal padre a inserirsi nella società bene tedesca, a cui però si ribella in parte mantenendo anche l’appartenenza alla minoranza di cui fa parte con la lingua ceca, un padre che cerca sempre di vietargli le scelte che non condivide, come per esempio la sua storia d’amore tormentata, riesce secondo me a chiarire anche la sua visione di oppressione, a cui ha dovuto reagire durante tutta la sua purtroppo breve vita.

Il fatto che il romanzo fosse lasciato incompiuto alla sua morte, risalta a mio parere nel salto dal penultimo all’ultimo capitolo, dove sembrerebbe mancare un pezzo, che forse Kafka avrebbe scelto di completare se avesse avuto più tempo, o forse no, perché era un libro che l’autore aveva lasciato lì da tempo, prima di morire, e che probabilmente non avrebbe scelto di pubblicare mai ma magari avrebbe invece bruciato.
Dobbiamo ringraziare l’amico che ha deciso di far vedere la luce ai suoi scritti, postumi, nonostante avesse ricevuto istruzioni diverse, anche se la sensazione che ne ho avuto è stata un po’ quella di penetrare la psiche di qualcuno che fosse inconsapevole, senza il suo consenso, e ciò non è certamente piacevole.
Risaltano anche i suoi interrogativi riguardo la religione e la presenza di un essere, come in quell’uomo che compare quando si accende la luce, a distanza e in altezza, che si piega in avanti allargando le braccia.
Ma resta comunque l’immagine di un uomo sofferente, tormentato, combattuto, che vedeva probabilmente nella morte l’unica libertà, temendola peró allo stesso tempo, per tutte le domande a cui avrebbe voluto trovare risposta prima, e soprattutto che non avrebbe voluto affrontare da solo.
Spero tanto ci sia riuscito.

“Come una luce che si accende d’un tratto, si spalancò una finestra, ed un uomo, che a quell’altezza e a quella distanza appariva esile e debole, si piegò in avanti allargando le braccia.
Chi era? Un amico? Un uomo di cuore? Uno che provava compassione? Uno che voleva portare aiuto? Era uno solo? Erano tutti? Era ancora possibile venire in aiuto di K? Si poteva fare ancora qualche obiezione che prima era stata dimenticata? Di certo v’era ancora qualche obiezione da fare! La logica della legge è incrollabile, ma non resiste ad un uomo che vuole vivere.”

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