Francesca, giovane donna e ginecologa di successo, è cresciuta chiudendo a chiave con precisione e meticolosità il proprio cuore a qualsiasi sentimento o stimolo esterno. Vive delle proprie soddisfazioni lavorative e nient’altro.
Bruno è un anziano signore triestino, nonno di Mirko, che prima di morire dice al ragazzo di cercare Francesca Molin per fare chiarezza sul suicidio di Vasco, suo caro amico di una vita, e trovare finalmente pace.
Cosa mai unirà queste due persone così diverse e senza nulla in comune apparentemente?
Saranno le ricerche di Mirko, il nipote di Bruno, storico e professore, portate avanti a tutti i costi, partendo da Francesca, per arrivare ad Alba, la nonna di lei, fino a Mario, amico di Bruno, a chiarirlo, aprendo un abisso di storie mai raccontate.
Chiudo questo libro con una sensazione di pesantezza, di terribile oppressione per il peso di anni e anni di storia di tragedie e scempi compiuti da alcuni uomini, che ne hanno segnato altri per sempre e in maniera indelebile.
La storia che sta dietro le vicende di questo libro è quella dell’ Istria, con il territorio di Trieste, terra di confine, come tale passata attraverso innumerevoli dominazioni: dai francesi agli austriaci, poi ceduta all’Italia dopo la Prima guerra mondiale, occupata dai nazisti durante la Seconda, e infine liberata dalle truppe partigiane di Tito e per questo ceduta alla Jugoslavia dagli alleati, ma senza la città di Trieste.
Territori che sono stati teatro di guerre non solo nazionali ma anche tra culture ed etnie diverse, con massacri e persecuzioni prima ad opera degli italiani nei confronti degli slavi e poi viceversa, dopo l’occupazione dei titini, ad opera di questi ai danni dei nostri connazionali, con il terribile episodio delle foibe, prima, e con quello della strage di Vergarolla poi, che segnarono il definitivo abbandono degli italiani di quelle terre, col destino di vivere da esuli.
Questa è una parte della storia più recente che non viene insegnata nelle scuole, purtroppo.
Io stessa la conoscevo poco e, man mano che proseguivo nella lettura, ho dovuto andare a documentarmi e approfondire.
Le vicende dei protagonisti di questo libro, Bruno, Vasco, Liliana, Alba, Carlo e Mario, segnati dagli orrori della guerra, che vanno ben oltre le uccisioni, riescono a dipingere, con incredibile vividezza, i traumi e le devastazioni a cui sono stati sottoposti in particolare i giovani in quegli anni, divisi tra degli ideali di giustizia e una realtà senza, in cui la disillusione era cocente e faceva realizzare troppo presto che in guerra non esistono giusti e che da una parte e dall’altra venivano compiuti scempi immani senza il minimo scrupolo.
È il senso di ineluttabilità a segnare durante la lettura, più di tutto il resto; l’aspetto del non avere più tempo perché gli attori di un pezzo di storia, della nostra storia, sono già andati e altri lo saranno a breve, e non ci sarà più a nessuno a poterla raccontare, a spiegare le proprie ragioni, a farci conoscere ciò che pensavano e provavano, quel che è successo davvero.
“Forse Bruno, Vasco e anche Liliana avrebbero avuto bisogno di qualcuno che gli mettesse una mano sulla spalla per dirgli che era finita, che ora spettava alla legge punire i crimini e al nuovo stato premiare gli atti generosi. Invece dopo la guerra c’era stato solo il silenzio. Nessuna spiegazione, nessuna pacificazione. Si doveva andare avanti come vuole la necessità della sopravvivenza.”
Fin dall’inizio si intuisce che Francesca nasconda qualcosa di non detto ma, tra tutti i vari racconti, passa un po’ in secondo piano, e ci si dimentica quasi di questo aspetto, da un lato sconvolti per le terribili verità di cui poco per volta, narrate ora da Mario ora da Alba, passando per Carlo, veniamo a conoscenza, e un po’ perché in parallelo seguiamo i suoi ricordi di infanzia e la sua “rinascita” attraverso i luoghi del suo passato e il suo radicamento con la terra d’origine, convincendoci che sia tutto lì e che ci stia già dicendo tutto.
Anche perché le storie che ascoltiamo della guerra e dei periodi subito dopo e prima di questa, sono già abbastanza sconvolgenti e sembra che non possa esserci ancora qualcos’altro, più di quei fatti tragici e terribili.
Ed invece finiamo poi per scoprire, col suo racconto, che arriva come un uragano, che non c’è mai fine al peggio.
“Come fa a spiegarle che per una volta non si limita a catalogare frammenti di lettere e diari, ma è come se in quella foto ci fosse anche lui insieme a suo nonno e a Vasco? È come se si trovasse in una digressione temporale dove tutto gli appare simultaneo. Come dirle che lo fa anche per lei, perché ogni tanto stringe le narici sospettosa e trattiene il respiro, anche se è capace di controllare un battito di ciglia. Tutto gira intorno a una guerra finita settantacinque anni prima, ma non ne ha mai sentito il fiato sul collo come lo vede ora su quello di Francesca; forse l’ultima testimone, o l’ultima vittima.”
Ma al di là dell’aspetto di denuncia, e al fatto innegabile che di una persona, anche se parente, non è possibile mai sapere davvero tutto, il che è ciò che mi ha sempre affascinata nel pensare alla vita dei miei prima che nascessi, in questo libro ho letto anche qualcos’altro.
Nel fatto che Francesca ricominci a sentirsi viva e ad aver voglia di vivere sul serio, già prima della rivelazione finale, sta secondo me l’aspetto importante di accettare le proprie origini perché è quello che ci rende ciò che siamo e, per quanto possano essere dolorose o traumatiche, sono una parte di noi, e non ci lasceranno mai guardare con fiducia al futuro, se non le si riconosca e comprenda prima del tutto, proprio come per Giano bifronte.
La difficoltà di Mirko di accettare la nuova figura di suo nonno che gli si prospetta davanti alla fine delle ricerche, è comprensibile, soprattutto perché non ci sarà più la possibilità di confrontarsi con lui su tutto quello che è venuto alla luce, e anche perché sono chiare le difficoltà della famiglia, rimasta legata a vecchi retaggi culturali, ad accettarlo, ma serve però anche a ricordare che è impossibile giudicare il passato alla luce del presente perché sarebbe anacronistico e perchè non sarebbe mai possibile comprendere realmente le motivazioni e i fattori in gioco allora, che hanno determinato certe azioni, per quanto condannabili possano essere.
Il confine tra buoni e cattivi è tanto labile come quello di quei territori.
“Alba racconta ancora dell’onestà di Liliana, di come non lasciasse correre nemmeno le piccole sopraffazionj di ogni giorno, quelle che gli altri lasciano perdere, senza pensare che a ogni sopruso, foss’anche parcheggiare nel posto riservato a un disabile, aumenta la nostra rassegnazione, diventiamo vulnerabili. Se cadono i principi, uno dopo l’altro, dal più piccolo al più grande, non abbiamo più difese.”
“Era tutto più grande di noi.” Chiude così, senza aggiungere altro. È stato detto tutto, ormai, tocca agli altri trarre le conclusioni. Francesca rimanda le sue domande a domani; è quasi l’una di notte, non può tenerla sveglia per chiedere ragione di quel che ha fatto o pensato da giovane.
“Hai perdonato?” La domanda le scivola, istintiva e involontaria.
“Ho dimenticato”
“Non è vero”
“Faccio del mio meglio”, e con fatica si spinge col deambulatore verso la camera da letto.
Ringrazio la casa editrice Garzanti per avermi dato l'opportunità di leggere questo meraviglioso libro e complimenti all'autrice per questo esordio coi fiocchi!
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