Mi sono avvicinata a questo libro con grandi aspettative, un po’ per il tema innovativo e provocatorio, un po’ per averne letto commenti entusiastici. Purtroppo ne sono rimasta fortemente delusa.
Innanzitutto devo smentire la lunga nota esplicativa dell’autrice alla fine del libro: sì certo avrà fatto un gran lavoro di documentazione e i riferimenti all’originale omerico saranno accurati tranne nelle poche eccezioni indicate, ma questo non è L’Odissea raccontata dalle donne e il titolo per primo trae fortemente in inganno. O meglio lo diventa solo alla fine a mio parere, nelle parti relative alla schiava Euriclea e di Penelope.
Per il resto si tratta di un qualcosa di molto diverso dall’Odissea perché si tratta di racconti di alcune delle donne protagoniste del capolavoro classico, che però fanno una smielata e pietosa dichiarazione del loro amore per Odisseo, cosa che però non è possibile riscontrare nell’opera originale.
Altro punto critico: purtroppo io non ho riscontrato l’intento espresso dalla Oliva di rappresentare “alcuni paradigmi di donna, da quella più asservita a quella più emancipata”. E questo soprattutto perché, se da un lato le dee risultano praticamente da sempre fortemente emancipate in tutte le opere maggiori e minori che ne parlano, dall’altro quelle che sono identificabili come comune mortali, vengono fuori anche qui come fortemente sottomesse agli uomini, quindi niente di nuovo, ma nello specifico questa tematica mi risulta che nel libro venga trattata solo di striscio e quasi per caso, tranne nel singolo caso di Circe, anche se pure lì sembra un tantino forzato e anacronistico.
In più non mi ricordo Ulisse/Odisseo descritto come così bello e affascinante e nè me lo ricordo così sciupafemmine come emerge da questi racconti, perché non sono solo le donne che narrano ad innamorarsene ma lui agisce eccome!!!
Inoltre, ma questa è una mia opinione, ho sempre avuto poca simpatia per questo protagonista che, insieme ai suoi compagni, sfida tutti gli dei e le profezie pur essendone a conoscenza, sprezzante del pericolo, e poi dopo si lamenta delle conseguenze.
Inoltre mi ha infastidito che nei capitoli non venissero distinte chiaramente le battute dei narratori da quelle di Odisseo e degli altri, se non per le virgolette, e questo inizialmente mi ha creato non pochi problemi nella lettura.
Su tutto però mi è piaciuto particolarmente il momento di confronto tra Odisseo e i suoi vecchi compagni e avversari Agamennone, Achille, Patroclo, Antiloco, Aiace e la madre Anticlea che arrivano dall’Erebo.
Questo e i capitoli finali mi hanno fatto un po’ ripensare al libro Le paludi di Hesperia, di Manfredi, che però è mille volte meglio, ricco di avventura e di personaggi vivi.
Mi piace inoltre la narrazione di Odisseo che viene fatta in nota, non tanto come dicevo per la corrispondenza con la figura omerica, quanto per il fatto che si possa allargare agli eroi in generale: “La grande contemporaneità è anche quella dell’eroe che sa reinventarsi, nascondersi e poi comparire in nome di ingiustizia che prima di tutto è umana. Lui che non perde mai la speranza, lui che sa quanto possa rivelarsi prezioso un piccolo gesto di solidarietà, lui che può improvvisarsi marinaio, timoniere, sovrano, agricoltore, mendicante e carpentiere, ci insegna che l’umiltà è il primo passo verso la civiltà. Cade e si rialza ogni volta con grande dignità, inganna ma per prudenza o necessità (mai per il puro esercizio dell’imbroglio), naufraga e sopravvive ai flutti del mare, così come noi resistiamo in quelli del quotidiano, lottiamo, amiamo, ci perdiamo ma ritroviamo sempre qualcosa. In questo senso, in Odisseo, ciascuna deciderà cosa trovare: l’icona indelebile di un supereroe o addirittura un frammento, magari invincibile, di se stesso.”
Allo stesso modo i parallelismi ravvisati tra Odissea e attualità, tra il protagonista e il migrante che rischia la vita in mare, tra l’ira di Poseidone, ottusamente vendicativo, e l’indifferenza dell’individualismo che ci circonda, tra Calipso e gli amanti, tra Nausicaa e quanti sognano amori impossibili, tra Penelope e quanti vedono un’arma nell’uso della diplomazia.
“La bellezza è un sogno pericoloso, di cui non può usufruire chi la incarna. La bellezza non appartiene a chi ne è portatrice, ma agli altri. E non si può toccare, nemmeno quando è di un’evidenza lancinante: ecco perché chi la possiede è destinato a fuggire o a essere inseguito.”
“...in fondo è così facile condannare, ma chi ha sbagliato è già punito dalla storia in cui è imprigionato.”
“...penso che ogni donna possiede cento modi per essere felice o, al contrario, infelice. In quest’ultimo caso, ha tre possibilità: può mostrare al mondo la sua infelicità, può condividerla con pochi intimi o scegliere di non svelarla a nessuno.”
“È l’unico modo che ho per impedire che siano loro a sopraffarmi. Se non usassi le arti magiche, loro ne approfitterebbero, come di fatto accade in ogni contrada, da oriente a occidente, nei luoghi deserti, nell’entroterra fertile, nelle città montane o in quelle bagnate dal mare: la donna, nel nostro tempo antico, serve solo per procreare o dedicarsi alla famiglia o accondiscendere al piacere dei maschi. Per me, che non accetto questi ruoli, l’unico modo per sfuggire a queste prigionie è catturare chiunque mi si avvicini e renderlo innocuo.”
“I maschi danno ordini alle donne, questo è comandato dalle regole non scritte degli avi. Devono mostrarsi forti e indicarci la strada, anche quando sanno benissimo che siamo noi la loro stella polare.”
“Alla regina scendono silenziose le lacrime. La gente non ha idea di quanto pianto una donna possa mietere. Io lo so, io la capisco: le ho asciugato il volto troppe volte. Non è soltanto l’attesa che l’ha logorata. L‘ umiliazione ripetuta dei prepotenti, cui non poteva sottrarsi, la fragilità del suo ruolo, ritagliato da secoli di tradizioni. La nostalgia del tempo sgranato per sempre in giorni fuggiti. L’incertezza del domani. Il pozzo della solitudine. L’impossibilità di fidarsi di qualcuno.”
Nessun commento:
Posta un commento