Titolo: Malinverno
Autore: Domenico Dara
Edizione: Feltrinelli; 27 agosto 2020
Pagine 336
⭐⭐
Ci troviamo nel piccolo villaggio di Timpamara.
Un villaggio alquanto particolare dove le parole contenute nei romanzi sono tutto.
Un villaggio conosciuto in particolare per il maceratoio dove tutta la nostra storia ha inizio.
Il protagonista è Astolfo Malinverno, bibliotecario di Timpamara. La sua attitudine a recuperare libri per la biblioteca del paese al macero è paragonabile solo all'abitudine che ha preso dalla madre di modificare i finali delle storie.
Semplice bibliotecario, divenuto successivamente anche custode del cimitero, Malinverno ha una vita fin troppo ordinaria fin quando non si imbatte in una lapide.
Nessun nome, nessuna data, nessuna visita (o almeno così sembra).
Solo una foto in bianco e nero di una bellissima donna.
Una foto che stravolgerà per sempre la vita del nostro protagonista.
Ok...aiutatemi!
Prevedo che recensire questo libro sarà un incubo. In primis perché non ne ho capito il senso fino in fondo, successivamente perché dopo averne sentito parlare da persone che lo hanno definito un capolavoro mi dispiace dover smontare tutto.
Fin dalle prime pagine ho faticato non poco ad entrare nell'ottica dell'autore. Lo stile di scrittura è sicuramente particolare ma un po' troppo sopra le righe per quanto mi riguarda. Troppe similitudini, metafore, licenze poetiche.
Mi sono convinta ad andare avanti dicendomi che sarebbe sicuramente migliorato e invece...
Mi sono ritrovata tra le mani un libro che in realtà potrebbe quasi essere definito come una raccolta di racconti. Ogni capitolo narra la "vita" e la "morte" di un abitante di Timpamara, ogni capitolo un abitante diverso e come unico filo conduttore lui: Astolfo Malinverno, il guardiano della vita e della morte.
E qui iniziano i miei problemi con il libro.
È difficile seguire le storie di personaggi che appaiono e si dissolvono in una manciata di pagine. Non si crea empatia e per me in un buon romanzo l'empatia con i personaggi è TUTTO!
La prima metà del libro scorre così... Nomi, storie, niente che mi sia rimasto particolarmente impresso.
Nella seconda metà la cosa va a migliorare un po'.
I personaggi diminuiscono e vanno a ripetere le loro apparizioni nel corso dei capitoli.
Impariamo così a conoscere meglio Astolfo, Ofelia e Isaia.
Tra tutte sicuramente la storia di Isaia e del suo lavoro è quella che ho amato di più.
Registrare le voci dei morti.
Chi non darebbe di tutto pur di non sentire ancora una volta parlare uno dei propri cari?
"Niente che è esistito anche solo un attimo scompare mai completamente, nemmeno i pensieri, nemmeno le preghiere, nemmeno i sogni."
Ma torniamo a noi. Torniamo al libro.
Come avrete capito la morte fa da padrona in questo romanzo ma non è una morte negativa come sempre in tutti i casi.
Spesso è una morte che plasma, una morte che da una nuova vita.
Vita e morte.
È esattamente questo il fulcro centrale.
Come quando si reinventa un ogetto.
Come quando si scrive e poi si riscrive il finale di una storia.
"Tutto quello che abbiamo ci può essere tolto da un momento all'altro, questo insegna la morte, che nulla ci appartiene."
Il secondo fulcro della storia sono in realtà le Storie.
Quelle che nel corso degli anni sono state scritte e che ad oggi sono accessibili a chiunque lo voglia.
Parole e storie.
Sicuramente in "Malinverno" non mancano gli spunti di lettura (almeno se vi interessano i classici). Devo dire che in alcuni casi, con Emma, l'autore ha tentato anche me.
Ho pensato davvero di leggere Madame Bovary e l'avrei sicuramente fatto se il libro mi fosse piaciuto.
Ho apprezzato particolarmente i finali riscritti, è una cosa che ogni lettore ha immaginato almeno una volta nella sua vita e Astolfo diventa un po' un'icona rappresentativa della categoria.
A parte questo trovo che sia un libro che non ha particolari punti di forza.
Sicuramente io non lo consiglierei.
"Perché se il destino dei libri è morire come esseri viventi, anche gli uomini, quando smettono di respirare, non diventano che storie."
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